Sono tante ed eterogenee le ragioni che hanno portato un certo numero di persone a protestare contro i vaccini e in particolare contro quello per il Covid-19, contro l’obbligo di green pass e contro le dinamiche sociali, politiche e sanitarie legate all’emergenza pandemica.
Da appassionato di linguistica e di comportamenti ho quindi cominciato ad osservare le modalità con le quali queste persone esternano le proprie opinioni e talvolta il proprio risentimento. È stato spontaneo, quasi un atto dovuto per me fare questa osservazione sia di persona che sui media digitali e analogici.
È stato spontaneo perché faccio un mestiere che mi permette di entrare in contatto con decine di persone al giorno ed anche per il notevole numero di interazioni che alimento quotidianamente via social.
Cosa ho rilevato durante questa osservazione? Prima di rispondere a questa domanda, proprio per il valore che do alle parole, tengo a fare una precisazione, doverosa.
In quello che scrivo ci sono soltanto comprensione, accoglienza e confronto. Ecco perché mi dichiaro fin da subito dispiaciuto nel caso in cui qualche passaggio risultasse poco gradito a chi lo legge, cosciente io per primo del fatto che un testo abbia margini di fraintendimento pur mettendoci tutta la premura del caso.
Cominciamo col dire che chi si dichiara “contro”, come già rilevato da una serie di analisi in materia, non rappresenta un unico e determinato livello culturale o sociale, una certa area geografica o a un’altra, né tantomeno una categoria professionale o un ruolo, men che meno un genere più dell’altro. Chi si dichiara “contro”, peraltro, lo fa con molte, moltissime sfumature diverse tra loro e solo una piccolissima fetta si abbandona a comportamenti che vanno oltre la logica, il buon senso e la legalità.
Detto che di questi ultimi, deplorevoli casi è giusto si occupino i magistrati visto che l’unico scopo nella fattispecie è sfruttare le occasioni di massa per dare visibilità ai loro esecrabili propositi estremistici, è interessante notare come quel “contro” sia innanzitutto una richiesta di ascolto.
Le proteste, infatti, nascono solitamente dalla necessità di dire la propria, di affermare un’idea o un punto di vista o un’opinione rispetto a una determinato tema. È una modalità che affonda le radici nella storia dell’umanità e che durante le diverse fasi della vita (per tutte, basta pensare all’adolescenza) adottiamo generalmente contro l’autorità al di là del fatto che si chiami genitore, docente, pubblico ufficiale, rappresentante istituzionale e così via.
Ma cosa accomuna chi si schiera “contro”? Qual è il filo conduttore che unisce profili così diversi tra loro da superare in certi casi anche le più fitte barriere ideologiche?
In linea di massima, e con tutto il rispetto del caso, potremmo dire che manchi loro un pezzo. Un pezzo non fisico, intendiamoci, bensì emotivo; un pezzo che dentro non c’è o non c’è più e che si tenta di recuperare fuori, fuori dalle regole talvolta, ma più di frequente fuori dalla normalità che una parte non cosciente di sé ritiene di non avere e di non vivere.
Facciamo alcuni esempi.
È considerato normale ammalarsi visto che in natura ci sono micro-organismi con determinate “cariche”. Ma se dentro manca un pezzo, fuori non può esserci normalità e quindi per alcuni non può esserci virus che danneggi alcunché.
È considerato normale vaccinarsi se con questa azione è possibile debellare una malattia invalidante se non addirittura mortale. Ma se dentro manca un pezzo, fuori non può esserci normalità e quindi per alcuni non può esserci rimedio che ci protegga da qualcosa che neanche vediamo.
È considerato normale adeguarsi a un precetto se con questa azione è possibile tutelare sé e le altre persone. Ma se dentro manca un pezzo, fuori non può esserci normalità e quindi per alcuni non può esserci provvedimento che abbia senso.
Potremmo fare altri esempi analoghi, ma cosa manca di preciso perché una persona, una normalissima persona, decida di schierarsi “contro”? Qui mi impegno ad essere molto attento alle parole che scelgo proprio perché consapevole delle corde che potrei toccare, sottolineando che c’è naturalmente chi ha vissuto situazioni simili a quelle di seguito descritte ed ora fa parte di quella stragrande maggioranza di popolazione che vive serena e tranquilla col suo vaccino e col suo green pass, coi suoi dubbi e con le sue certezze.
In linea di massima, fermo restando che una minima parte di questa platea è mossa da principi ideologici e dall’abitudine a manifestare pacificamente il proprio dissenso in piazza (sempre di meno fisica e sempre di più virtuale), ho innanzitutto rilevato una nutrita presenza di persone sole, ovvero di donne e uomini che hanno magari un numero notevole di relazioni professionali o amicali, ma che alla fine si ritrovano sole, ovvero senza partner stabilmente al loro fianco perché una relazione vera non c’è mai stata o c’è stata, ma è finita male.
Ci sono inoltre moltissimi casi di disagio lavorativo. Non per forza casi di disoccupazione, anzi, pur avendone osservati in numero non esiguo. Mi riferisco anche e soprattutto a chi un lavoro ce l’ha e guadagna pure bene al punto di potersi togliere parecchi sfizi, ma che non trova gratificazione personale in quello che fa o in come lo fa, che ha persino raggiunto una certa seniority ma agisce il proprio ruolo quasi per inerzia e senza un obiettivo che abbia un senso.
Ci sono anche, e sono più di quanto si pensi, quegli uomini e quelle donne, spesso quelle coppie, cui non è stata data la gioia di un figlio e che hanno cercato una compensazione ammirevole donando un mare d’affetto in attività rivolte ai più bisognosi o accudendo uno o più amici a quattro zampe.
Ci sono, e non potrebbe essere altrimenti, bambini e bambine, ragazze e ragazzi, che non hanno ricevuto una corretta educazione emotiva e in età adulta non riescono a prendere consapevolezza di come stanno, di come si sentono e delle ragioni che poi accendono la reazione ai fatti contingenti.
Ci sono infine molti casi di difficoltà nel rielaborare i lutti, in particolare quelli prematuri e improvvisi. Traumi fortissimi che segnano così in profondità da cambiare spesso per sempre la visione della vita stessa, da modificare il perché delle azioni quotidiane pur continuando a fare quello che si faceva anche prima.
In tutti i casi evidenziati si può parlare di realizzazione fallita o incompleta, quel pezzo mancante cui facevo riferimento fin dal titolo. Ma ciò che deve far riflettere è il cosa succede a fronte di questa mancata realizzazione.
Ebbene, visto che la natura non ammette il vuoto, sono la frustrazione o il rancore, la paura o la rabbia, a compensare la realizzazione cui ogni essere umano ambisce per natura, ma che le circostanze hanno impedito di raggiungere.
Il vuoto di affetti, di relazioni, di soddisfazioni, di gratificazioni e di consapevolezza, viene così riempito da emozioni legittime, ma decisamente forti, forse non condivisibili sul piano dei valori che ogni individuo professa, ma comprensibili sul piano umano.
Dovremmo forse ripartire da qui, da questo bisogno di ascolto che chi è “contro” manifesta e che non saranno i fischi e le urla, le offese e le rimostranze, a risolvere.
Per risolverlo ci vuole una doppia presa di coscienza: chi è “contro” deve essere aiutato a capire che le cose sono andate come non era giusto che andassero, ma ora è arrivato il momento di guardarsi finalmente dentro per guardare finalmente avanti; chi non è “contro” deve invece insistere nell’ascolto e nel dialogo, privilegiare il confronto paziente e incessante, mettere cuore e ragione in egual misura perché i piatti della bilancia siano in equilibrio.