«Chissà cosa diranno di me e come mi giudicheranno. E se poi faccio errori?» Spesso mi capita di sentire queste domande dalla viva voce di chi vorrebbe imparare a parlare in pubblico e si ferma davanti a questi dubbi.
Le dicono donne e uomini, giovani e anziani e meno giovani, manager e imprenditori, dirigenti, collaboratori e studenti.

Mi capita di sentirle spesso perché sempre più di frequente siamo chiamati a parlare davanti a una platea senza che ci abbiano mai insegnato a farlo. Se si esclude qualche esempio virtuoso, sono decisamente pochi in Italia i percorsi scolastici o universitari in cui sono previsti corsi per imparare la retorica, molto diffusi invece nei Paesi anglosassoni.

Un tratto comune in queste frasi, al di là del fatto che il pubblico da affrontare sia più o meno numeroso, è lo stress.
Ma c’è stress e stress. Lo vivo anch’io, che pure mi occupo di public speaking da molto tempo; ma io ho imparato anche a mie spese a farlo decantare in maniera positiva, per i meno esperti diventa addirittura un fattore limitante.

Contrariamente a quanto si pensi, non si nasce bravi a parlare in pubblico. Questa abilità può essere allenata per far diventare straordinariamente bravi quelli che hanno già una certa predisposizione e far diventare eccellenti quelli che possono cavarsela molto bene pur non essendo degli istrioni.

Quindi, è questione di addestramento: chi è preoccupato alla sola idea di presentarsi davanti a una platea non è semplicemente abituato a farlo. Accade in pratica la stessa cosa che abbiamo sperimentato durante le prime volte alla guida di un’automobile: ci prende un pizzico di tensione perché temiamo che qualcosa possa andare storto, ma poi un po’ alla volta diventiamo più disinvolti al punto da sentirsi particolarmente a proprio agio.

Come ripeto spesso in aula, non possiamo non essere presi da un minimo di tensione perché questa è una palese dimostrazione del fatto che teniamo a fare bella figura e teniamo molto a trasferire le nostre idee, i nostri concetti e i nostri contenuti alle persone che abbiamo di fronte.

Stiamo parlando di una reazione psicofisiologica che ci permette di indirizzare in maniera corretta le nostre energie fisiche e mentali; pertanto, un basso livello di ansia ci è addirittura di grande utilità ai fini della performance proprio per ottenere il risultato atteso.
Oltre una determinata soglia, soggettiva e dunque fondamentale da indagare, l’ansia incide negativamente sulla qualità del nostro discorso e ci provoca un senso di impotenza.

Sarà la stessa ansia a portarci a pensare: «Ciò che ho in testa non arriverà al pubblico, le persone si distrarranno perché le annoierò, la mia faccia sarà rossa per l’imbarazzo, non riuscirò a stare fermo, magari balbetterò perché avrò dimenticato un concetto, mi giudicheranno incompetente e allora non raggiungerò i miei obiettivi!»

Il fenomeno ansiogeno è proprio il giudizio che temiamo di ricevere da noi stessi e dagli altri, in particolare quando questi “altri” sono molto numerosi, sconosciuti e secondo noi molto competenti. Ci ritroveremo quindi tra l’incudine delle aspettative (belle o brutte che siano) e il martello dell’idea che nutriamo di noi stessi come persone (più o meno capaci e più o meno competenti).

In sintesi, l’ansia scatta in particolare quando mancano quegli elementi oggettivi, già sperimentati, che ci permettono di sapere in anticipo qual è l’opinione che gli altri hanno di noi secondo schemi consolidati. Capita anche a persone che hanno già vissuto situazioni impegnative, cavandosela anche benissimo: se mancano loro questi riferimenti, potrebbero sentirsi inadeguate e aspettarsi, secondo una logica causa-effetto del tutto arbitraria, che gli altri se ne accorgeranno in un modo o nell’altro, precludendo qualsiasi opportunità presente e futura di fare un buon discorso in pubblico.

Il nostro atteggiamento seguirà questa convinzione e noteremo senza alcun dubbio tutto ciò che non è andato bene durante l’esposizione, ritenendola insufficiente. Allora, alla prossima occasione, ripeteremo la stessa sequenza ansiogena, arricchendola di nuove e più limitanti convinzioni!

«Come invertire il circolo vizioso?» Beh, contrariamente a quanto strillato da certi imbonitori, è indispensabile mettersi l’animo in pace: ci vogliono tempo e pratica, tanta, tantissima pratica. Servono entrambi a prendere in mano lo schema acquisito e smontare le convinzioni una ad una per costruire nuovi schemi e nuove convinzioni. Ogni discorso in pubblico diventerà così un passo in avanti verso la propria consapevolezza espressiva.

Ogni percorso, d’altronde, è condito da tanti piccoli passi. Parliamone insieme, magari davanti a un buon caffè, con un click qui